BINARI MIOFASCIALI: LE MEMORIE
Ogni essere umano porta con sé, impresse nel suo corpo, tutte le memorie di ciò che è stato il percorso che ha seguito dalla nascita fino ad oggi. Queste memorie sono delle vere e proprie mappe che conservano la storia di ognuno, il suo vissuto ed hanno influenzato la formazione del suo carattere.
Dal nostro semplice camminare o attraverso le posture che assumiamo, è possibile risalire alla personale natura individuale, come leggendo una carta d’identità: chi siamo oggi è determinato da chi siamo stati, in che contesto abbiamo vissuto, che situazioni abbiamo affrontato ed in che modo abbiamo reagito, tutti elementi questi che lasciano il segno e che ci portano a tutt’oggi ad assumere, inconsciamente, posizioni spesso difensive, mantenendo dentro di noi ferite e relative cicatrici.
Per questo motivo il potenziale di movimento del corpo è utilizzato solo in parte, cioè per le limitazioni acquisite negli anni a causa degli eventi vissuti nella nostra vita; tale potenziale di movimento è condizionato dalle nostre “resistenze” inconsapevoli.
Purtroppo, l’aggiunta del carico imposto dall’ignaro “proprietario di quel corpo” nel tentativo di continuare a vivere la sua “normalità”, il compito dell’organismo diviene ancora più oneroso.
Tutti questi ingredienti mescolati producono in ogni persona degli schemi comportamentali adattativi che si esplicano con l’instaurarsi di movimenti automatici limitanti che, noi qui definiamo binari miofasciali. Il termine miofasciale descrive i due componenti in causa: la muscolatura e l’involucro connettivale che l’avvolge come un guanto chiamato fascia.
I binari miofasciali sono il prodotto del proprio carattere che determina le nostre movenze e le inibizioni, i gesti e le interazioni con l’ambiente che ci circonda e, di conseguenza, la nostra postura.
Quando l’ organismo è impegnato nel mantenimento di una risposta adattativa a situazioni spiacevoli, che richiedono il massiccio impiego di contrazioni muscolari, dovute a tensioni emotive, dolore fisico, “riparazioni tessutali in atto”, in quella zona coinvolta si crea la cosiddetta postura antalgica. Come il termine fa intuire, sarebbe finalizzata ad impedire alla persona di sentire quel dolore nel breve periodo, nel tentativo da parte dell’organismo di proseguire indisturbato il lavoro di ripristino dei tessuti coinvolti. In questa trattazione tale zona potremo anche definirla, rimanendo nella metafora ferroviaria, un capolinea di binari miofasciali.
ORIGINE DELLE STRUTTURE
Tutte le strutture connettivali sono di origine embriologica mesodermica, (in particolare mesoderma di tipo recente, diretto cerebralmente dalla sostanza bianca o midollo cerebrale, secondo l’osservazione del dott. Hamer, - dati che si trovano nelle sue scoperte, cioè le 5 Leggi Biologiche) e rispondono alla funzione di connettere l’intera struttura del corpo mettendolo in grado di esprimere gesti che consentono all’individuo di manifestare il suo “fare” attraverso i movimenti coordinati diretti alla meta prefissata (realizzazione professionale, relazionale, ludica).
L’osservazione del dottor Hamer ha permesso di verificare che questo tipo di tessuti risponda al come viene vissuto di un evento inaspettato (da lui definito shock biologico) che, nella percezione del mondo di quella persona unica, riguarda il “Non sentirsi in grado di fare, di agire…” in relazione a qualcuno e/o qualcosa coinvolto da quell’evento: per il nostro organismo questa è un’emergenza (approfondiremo prossimamente).
Da un punto di vista funzionale tali strutture formano un’unica fascia. Questa costituisce l’involucro del corpo e, con le sue ramificazioni, penetra nel profondo delle sue strutture fino al rivestimento cellulare.
La fascia collega i visceri al quadro muscolo-scheletrico: da qui si comprende l’importanza dell’avere un buon rapporto articolare, una buona statica ed una buona mobilità.
IL TRATTAMENTO
La possibilità di riconoscere tali limitazioni ci consente di tradurle in utili informazioni, a vantaggio dell’interessato ; inoltre il poterle trattare fisicamente produce come effetto l’emersione di risorse nascoste, preziose per la vitalità della persona.
Il trattamento mio-fasciale della catene muscolari in realtà è un lavoro sulla fascia (i muscoli sono contenuti nelle guaine interdipendenti); il riequilibrio delle tensioni, quindi la liberazione dai binari mio-fasciali (intendendo con questo l’uscita da “strade obbligate” che impediscono la normale mobilità espressiva della persona e la “ingabbiano” nei soliti schemi adattativi, per evitare il dolore) passa attraverso il trattamento di questi involucri (fascia) che hanno una memoria elastica: questa caratteristica permette agli operatori di “essere guidati” dal corpo, una volta sintonizzati sull’ascolto di tali memorie, consentendo di assecondare l’organismo nella sua ricerca di “eliminare tali scorie” e ritrovare la miglior organizzazione finalizzata a trovare un nuovo equilibrio (dinamico), con minori dispersioni di energia (economico) e senza più sentire dolore (confortevole).
Il ruolo dell'operatore in questo caso è quello di fornire un sostegno neutro, che supporta il corpo e lo accompagna nel suo "scorrere", attraverso resistenze e rilasci, senza invasioni o intenzioni strategiche, semplicemente ascoltando e lasciando spazio.
Ogni limite si presenta come una grande opportunità, una porta oltre la quale è possibile scoprire infinite risorse e risposte.
Tale approccio si basa sull’utilizzo di tecniche quali il Cranio Sacrale, in particolare l’unwinding, ed il Trattamento connettivale fasciale che permettono lo srotolamento della fascia, favorendo l’emersione dei blocchi che mantengono la postura antalgica adattativa che, come abbiamo visto precedentemente, determina il perseverare del “problema” fino, nelle situazioni esasperate, alla perdita della stazione eretta.
Il tutto si integra conl’ Esplorazione pratica del movimento che permettono alla persona coinvolta di lasciarsi andare ai movimenti che seguono la memoria elastica, favorendo il rilascio dei blocchi.
Ci sono gesti che sono stati "interrotti" per diverse ragioni, fisiche o emotive, creando dei veri e propri limiti alla libertà di movimento e di espressione.
Riscoprendo l'intenzione originaria e lasciandola rivivere attraverso l'associazione di movimenti e immagini, integrate dall'esplorazione del gesto stesso, possiamo ritrovare una fluidità muscolare e minori resistenze articolari.
La stessa forza di gravità può essere uno strumento utilissimo con il quale danzare e capace di restituirci il piacere infantile di rialzarci dopo ogni caduta.
L’applicazione del trattamento deve sempre essere guidata da una ricerca logica delle cause disfunzionali, dalla loro comprensione e dal rispetto dell’organismo.
Autori:
Luca Bartolini, Linda Aisha Neri
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